Isola di Sardegna

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Le chiese nel paesaggio

L'arte


Distanza complessiva da percorrere                                        circa 170 Km
Tempo medio di percorrenza                                                 circa 4  ore
Tempi di sosta e visita                                                          circa 4 ore
Durata complessiva dell'itinerario                                           circa 8  ore



1. Oschiri: Chiesa di Nostra Signora di Otti.
2. Oschiri: Chiesa di Nostra Signora di Castro.
3. Tula: Chiesa di Nostra Signora di Coros.
4. Erula: Chiesa di Santa Vittoria di Gavazana.
5. Perfugas: Portale della chiesa di Santa Maria.
6. Perfugas: Chiesa parrocchiale di Santa Maria degli Angeli e Retablo di San Giorgio.
7. Perfugas: Chiesa di San Giorgio.
8. Martis: Chiesa di San Pantaleo.
9. Chiaramonti: Chiesa di Santa Maria Maddalena.
10. Ozieri: Basilica di Sant'Antioco di Bisarcio.
11.  Ardara: Basilica di Nostra Signora del Regno.




Il tema di questo itinerario è, pur nella semplicità lineare del suo filo conduttore, ricco di molteplici variazioni. Dai margini orientali a quelli occidentali del Montacuto, attraverso un ampio giro nell'Anglona, la strada si snoda di tappa in tappa dispiegando dinanzi agli occhi del viaggiatore i suoi scenari volubili, in un continuo mutare di prospettive, di colori, di rocce, di verdi e di azzurri. Solo elemento quasi costante è la vastità degli spazi, il largo respiro degli orizzonti, ancorché sempre mossi e ondulati. Su questi fondali mutevoli le chiese, specie quelle romaniche (che rappresentano del resto i tre quarti del totale), mostrano la loro sorprendente versatilità teatrale, il loro talento mimetico e insieme scenografico. Qualche sciagurato restauro recente offre l'occasione per un raffronto non proprio lusinghiero: quella magica armonia fra opere della natura e opere dell'uomo appare non soltanto irrimediabilmente perduta nel costruire, ma addirittura distrutta nel goffo tentativo di conservare.

1. Oschiri: Chiesa di Nostra Signora di Otti.
L'itinerario può essere immaginato con partenza da Olbia, che dista dalla prima meta all'incirca 45 chilometri di comoda strada statale, cioè poco più di mezz'ora. Si percorre la statale 199 in direzione di Sassari e, pochi chilometri dopo aver lasciato sulla destra il bivio per Berchidda, anziché proseguire lungo la 597 per Sassari, si piega a sinistra verso Oschiri e Ozieri: da questa strada, che è in realtà il prolungamento della stessa statale 199, si stacca a sinistra, circa tre chilometri prima di Oschiri, una stradina asfaltata che si snoda fra rade sughere e, a mezza primavera, fra ginestre e ferule in fiore fino alla vicina chiesetta di Nostra Signora, nata nella seconda metà del XII secolo come parrocchiale dell'estinto villaggio medievale di Otti. La chiesa, di dimensioni modestissime, sorge sull'orlo di una piccola altura dalla quale la vista si apre spaziosa sulla valle sottostante: si distinguono a destra l'abitato di Berchidda, a sinistra la mole granitica del Limbara. Il piccolo edificio è interamante rivestito di trachite rossa, dalle tonalità calde e dalle sfumature di colore variegate, qua e là tendenti al verde, con un effetto di omogeneità non uniforme che esalta la già perfetta fusione cromatica con il paesaggio circostante. La facciata nuda è sormontata da un campanile a vela, di ricostruzione fantasiosa e recente, che non ha nulla a che vedere con quello originario, di proporzioni singolarmente imponenti, abbattuto da un fulmine.

2. Oschiri: Chiesa di Nostra Signora di Castro.

Raggiunta Oschiri, se ne esce adesso lungo la statale 597 per Sassari, che si lascia però quasi subito, piegando a
destra per salire al grande piazzale panoramico antistante la chiesa di Nostra Signora di Castro, già sede dell'omonima diocesi.

Oschiri: la chiesa di Nostra Signora di Castro sullo sfondo del massiccio del Limbara



La chiesa, che a dispetto della sua antica dignità di cattedrale ha proporzioni tutt'altro che monumentali, sorge in posizione straordinariamente felice, a dominio della piana di Ozieri e quasi sopra la sponda orientale del lago artificiale del Coghinas, con vista su orizzonti vastissimi.
A somiglianza della vicina e quasi omonima Nostra Signora di Otti, benché di fabbrica assai più accurata, la chiesa, edificata nella seconda metà del XII secolo, è interamente costruita in conci di trachite, ben squadrati e levigati, delle più varie tonalità di rosso, con effetti quasi d'intarsio sulla bella facciata, sormontata da un campanile a vela a doppia cella di costruzione più tarda. Anche il portico ad arcate che poggia sul fianco destro per tutta la sua lunghezza risale a epoca posteriore. L'interno suggestivo e severo presenta un'unica navata con abside a copertura di legno, e accoglie un'antica statua della Vergine di legno dorato, protagonista di una festa tradizionale, molto sentita dalla popolazione, che si svolge il lunedì di Pasqua.

3. Tula: Chiesa di Nostra Signora di Coros.
Da Castro, anziché ritornare sulla statale, procediamo per la stessa stradina asfaltata che, dopo pochi chilometri,
scavalca su uno stretto ponte dalle spallette di ferro il braccio meridionale del lago del Coghinas per poi proseguire, serpeggiando in saliscendi nel verde, fino all'abitato di Tula.

La chiesa di Nostra Signora di Coros
Alla periferia di Tula, ringiovanita da un discutibile restauro


Qui, nei pressi del cimitero, alla periferia del paese, sorge la chiesa di Nostra Signora di Coros, già abbazia di un monastero dei Vallombrosani, che la fecero edificare tra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo in stile romanico - lombardo. Purtroppo dell'antica dignità dell'edificio non rimane oggi che una pallida traccia: un restauro di una ventina d'anni fa l'ha infatti snaturata, rimuovendo interamente i paramenti originari di trachite rossastra e risarcendoli con cantoni nuovi, anch'essi di trachite, ma di colore più pallido e freddo e di taglio uniforme. La cosa che più colpisce non è tanto la pesantezza dell'intervento, certo poco rispettoso ma meno stridente di altri successivi, quanto piuttosto la sua totale astrazione da uno scopo, da una destinazione d'uso dell'edificio: la chiesa sta là, nel suo vestito fin troppo nuovo, nel silenzio del vicino cimitero, abbandonata alle erbacce che l'assediano, così alte e fitte che risulta quasi impossibile raggiungere l'abside per osservare le poche decine di conci originari che ne stanno alla base. D'intorno, dalla piccola altura, ci si affaccia su un paesaggio disteso, verdeggiante di pascoli e di dolci declivi. Fosse anche stata, prima del restauro, in rovina (cosa che per la verità non risulta), questa povera chiesa doveva senza dubbio sentirsi enormemente più a proprio agio in quel secolare abbandono che in questa assurda desolazione nuova fiammante.

4. Erula: Chiesa di Santa Vittoria di Gavazana.

Per aggirare da est il grande massiccio trachitico del Monte Su Sassu, una stupenda strada sale da Tula fin quasi alla vetta del Monte Sa Sia, offrendo vedute mutevoli e vaste sul lago del Coghinas e sulle alture ricoperte di fittissima macchia, per poi ridiscendere più dolcemente verso i morbidi paesaggi collinari dell'Anglona. Si attraversa il piccolo abitato di Erula e si prosegue in direzione di Perfugas: dopo qualche chilometro si svolta a sinistra e, attraverso la macchia di sughere, si raggiunge il sito dell'estinto villaggio medievale di Gavazana dove, sul limitare di un'altura affacciata sulla valle e accanto al muro di cinta di un antico cimitero, sorge la chiesa romanica di Santa Vittoria, risalente alla metà del XII secolo e ampliata in quello successivo.

La bella chiesa romanica di Santa Vittoria, in agro di Erula, sorge sul sito dello scomparso villaggio medievale di Gavazana


La fabbrica è in conci di trachite delle tonalità più varie, dal rosa pallido al rosso carico, con rari e isolati inserti bianchi di calcare. La lineare semplicità della facciata è animata soltanto dal grande campanile a vela. L'interno è mononavato, con copertura in capriate lignee.


5. Perfugas: Portale della chiesa di Santa Maria.
Ritornati sulla provinciale, proseguiamo in direzione di Perfugas, dove ci aspettano le più amare sorprese. Alla periferia meridionale dell'abitato lasciamo l'auto lungo la strada di circonvallazione che corre ai margini di un paesaggio già quasi agreste e, per un sentiero ripido, nascosto dall'erba alta per gran parte dell'anno saliamo in pochi minuti alla sommità di una piccola altura dove, fino a pochissimi anni or sono, sorgeva, sia pure allo stato di rudere, la chiesa romanica di Santa Maria (da non confondere con la parrocchiale di Santa Maria degli Angeli, nostra prossima meta). Adesso la chiesa, in silenziosa e dignitosa rovina da decenni se non addirittura da secoli, è stata ricostruita in modo del tutto fantasioso e priva di qualunque rapporto strutturale e stilistico con l'edificio originario. Ciononostante permane abbandonata così com'era ai tempi
della sua felice sopravvivenza di rudere, circondata dalla vegetazione incolta, in un paesaggio desolante di degrado urbano. Dinanzi alla facciata, separata da questa dello spazio corrispondente all'antico e scomparso sagrato, si erge però tuttora, come una quinta di pietra spalancata sul nulla o sulle iniquità del tempo, il magnifico portale costruito a scacchiera, con quadrati bianchi e rossi, di calcare e trachite, alternati in un disegno che, fra le chiese romaniche di Sardegna, costituisce un esempio isolato. Fortunatamente neppure la febbre del restauro, o piuttosto della manomissione, di cui il Nord Sardegna è stato vittima negli anni Novanta ha osato contagiare questo solitario testimone superstite dell'antica parrocchiale di Perfugas.

6. Perfugas: Chiesa parrocchiale di Santa Maria degli Angeli e Retablo di San Giorgio.

Prima di scampagnare, ignari di ciò che ci attende, per la chiesa foranea di San Giorgio, vogliamo visitare il capolavoro pittorico che le apparteneva e che adesso, per comprensibili ragioni di sicurezza, è custodito all'interno della parrocchiale di Santa Maria degli Angeli, bella chiesa gotico - aragonese ubicata proprio nel cuore dell'abitato alla sommità di una piccola zona pedonale che rappresenta il relitto, soffocato dalle case nuove, di un centro storico non privo di dignità architettonica. In una cappella laterale, appositamente allestita, si conserva il Retablo di San Giorgio, uno degli esempi più fulgidi, tra quelli rimasti intatti nell'isola, di questo particolare genere di opera d'arte, dove pittura e intaglio del legno sembrano rivaleggiare in sontuosità sfavillante. La complessa struttura a telaio gotico è divisa in cinque zone verticali, per un totale di 51 dipinti. Opera di un artista anonimo del XVI secolo, che certamente conobbe e assorbì la lezione del cosiddetto Maestro di Ozieri, il retablo è stato di recente restituito al pubblico dopo un restauro lunghissimo e complesso, che lo ha tenuto per circa trent'anni lontano dall'osservazione degli studiosi. Per questa ragione il dipinto è ancora in attesa di una sistemazione critica adeguata.

7. Perfugas: Chiesa di San Giorgio.
Alla chiesa campestre di San Giorgio si arriva in pochi minuti da Perfugas per un comodo sterrato che parte direttamente dall'abitato, e fin da lontano si rimane sbalorditi di fronte allo stridente contrasto fra i colori del paesaggio e quelli del fianco sinistro della chiesa, che appare già dalla strada. San Giorgio di Perfugas, esempio non comunissimo di chiesa campestre in forme gotico - aragonesi, ha una elegante facciata a capanna, tutta di trachite rossa dai cantoni di taglio regolare, mentre la parte restante della chiesa è costruita in pietrame misto. Un restauro molto recente, che sarebbe eufemistico definire arbitrario, ha intonacato l'intero edificio, con esclusione della sola facciata, e in particolare i due fianchi, contrafforti compresi, di un inverosimile giallo, nauseante e chiassoso. Fortunatamente, trattandosi di semplice intonaco, la rovina non è irreversibile, e basterà un po' di comune buon senso per riportare l'edificio alla sua dignità originaria. Allo stato attuale gli elementi di originalità della chiesa, che la differenziano dalle altre chiese gotico - aragonesi sarde, non sono apprezzabili. La stessa facciata, del resto, è stata danneggiata in misura ancora più grave, a causa della rimozione di alcuni dei cantoni originari di trachite e del loro risarcimento con materiale nuovo.

8. Martis: Chiesa di San Pantaleo.
Da Perfugas a Martis, attraverso Laerru, la strada statale 127 si snoda pigra, spalancando a ogni svolta nuovi scenari di verdeggiante morbidezza, orizzonti lontani dalle cornici ondulate, pascoli che furono un tempo coltivi tra i più fertili dell'isola, piccoli abitati posati nelle conche o arroccati sui colli, un paesaggio lento eppure dinamico, dove la mobilità delle linee si alimenta della varietà dei colori. Se, poco prima del cartello indicatore del km 80, si ha l'accortezza di ridurre la velocità, già regolata del resto dalla flessuosità del percorso, si potrà scorgere a destra sulla cima di un poggio, a un centinaio di metri dal ciglio della strada (e irraggiungibile al di là di un'alta recinzione), quel che resta della chiesa di San Leonardo, la più piccola chiesa romanica della Sardegna: interamente costruita in conci di calcare candido ben levigati e squadrati, e danneggiata dal crollo della copertura, è oggi adibita a stalla. Si procede per Martis dove, proprio ai margini dell'abitato, scenograficamente posata sul ciglio di una scarpata che strapiomba sulla valle, sorge l'ex parrocchiale di San Pantaleo, che da decenni sprofonda senza apparente rimedio per il cedimento graduale dello sperone di roccia sul quale, all'inizio del XIV secolo, fu costruita. Lo si può considerare un edificio tardo - romanico, ma con evidenti influssi gotici. Nella bella facciata bianca di calcare la ghiera bicroma, con cunei alternati di calcare e trachite, incorniciava un rosone che è andato perduto già da decenni. Il campanile, gravemente danneggiato, è stato ricostruito con discutibile noncuranza. Il recente crollo della volta ha costretto a transennare la chiesa, rendendo impossibile l'accesso.

9. Chiaramonti: Chiesa di Santa Maria Maddalena.
Da Martis si piega verso sud lungo la statale 132 per Chiaramonti e, a metà strada, in corrispondenza di un grande slargo presidiato da una fontana, si svolta a destra per raggiungere il sito dell'estinto villaggio medievale di Orria Pitzinna, la cui antica parrocchiale sorge adesso al centro di un paesaggio solitario di remota serenità pastorale. La chiesa, costruita nei primissimi anni del XIII secolo, fu donata nel 1210 all'ordine dei Camaldolesi. In seguito fu oggetto di numerosi rimaneggiamenti e restauri, nel corso dei quali furono aggiunti all'originale aula mononavata i due transetti laterali. Bella la facciata bicroma, a fasce rosse di trachite e bianche di calcare, motivo ripreso nel portale ad arco leggermente acuto. L'interno custodiva un antico altare ligneo, ora collocato nella chiesa del Carmine, nell'abitato di Chiaramonti. Restano poche ma importanti tracce dell'affresco che decorava il catino absidale.

10. Ozieri: Basilica di Sant'Antioco di Bisarcio.
Ritornati sulla statale 132, si attraversa l'abitato di Chiaramonti, continuando a procedere verso sud in direzione di Ozieri: dopo un breve tratto la strada scavalca la direttissima Sassari - Tempio (statale 672). Da questo punto si percorrono ancora 11 chilometri prima di svoltare a destra in una stretta ma agevole strada asfaltata che, puntando per la via più breve verso la statale 597, ci permette di raggiungere il sito dell'antica Bisarcio, città medievale oggi scomparsa lasciando a solitario presidio la sua cattedrale. La chiesa sorge al limitare di uno sperone di roccia, in posizione elevata dalla quale si domina, al di là della strada che la lambisce, il vasto Campo di Ozieri. I ruderi sparsi all'intorno non hanno niente a che fare con l'estinto abitato, ma sono i resti di un villaggio costruito pochi decenni fa nel quadro di una politica di ripopolamento rurale e poi rapidamente abbandonato:
tuttavia concorrono ad appesantire l'atmosfera vagamente sinistra che avvolge la chiesa e il suo campanile mozzo intorno al quale svolazzano i corvi. L'edificio sembra del resto segnato da un destino di fosche sciagure: eretta alla metà dell'XI secolo in maestose forme romanico - pisane con influenze di derivazione francese, la chiesa fu quasi completamente distrutta da un disastroso incendio nel 1090.

Ozieri: la basilica di Sant’Antioco, già cattedrale
Della diocesi di Bisarcio


Venne quindi ricostruita sul primitivo impianto, nei suoi austeri paramenti di trachite rossobruna locale, nel 1150 - 60 e ampliata qualche decennio più tardi con l'aggiunta sulla facciata del bel portico a due piani, unico esempio del romanico isolano. Seguì nel XV secolo l'abbandono del sito, secondo una sorte comune a molti abitati del Nord Sardegna, sotto l'infuriare, più ancora che delle pestilenze e delle carestie, dell'infinita guerra fra Doria e Aragonesi e delle sue devastazioni (le fortificazioni di Castelsardo, Santa Maria Coghinas e Chiaramonti restano poco più nord a testimoniare della vicinanza di uno dei più importanti fronti difensivi dei Doria). Quindi nel 1503, con l'abbandono della diocesi e la conseguente perdita del titolo di cattedrale, cominciò per Sant'Antioco di Bisarcio una nuova vita appartata di chiesa campestre. Infine, in epoca assai più recente, la torre campanaria fu dimezzata da un fulmine. Il maestoso interno ha pianta basilicale a tre navate con paramenti di trachite scura.

11.  Ardara: Basilica di Nostra Signora del Regno.
Da Sant'Antioco si scende alla statale 597, della quale si percorre un breve tratto in direzione di Sassari per poi svoltare a sinistra al bivio di Ardara, antica capitale del Giudicato di Torres, dove sorge uno dei capolavori assoluti del romanico in Sardegna. La chiesa, nata come cappella palatina del soprastante castello (del quale non resta oggi che un insignificante moncherino del muraglione), fu eretta fra la metà dell'XI secolo e i primi anni del successivo in una pietra trachitica di colore scurissimo, così da stagliarsi nera contro i colori tenui della fertile valle e degli orizzonti grandiosi sui quali il paese si affaccia dall'alto. Caso raro a quell'epoca, la fabbrica fu realizzata da un solo architetto, esponente della scuola lombarda aperto a influssi pisani. Sulla severa facciata, ripartita da quattro lesene, si aprono il portale sormontato da un arco e da un'elegante bifora e, sul secondo ordine, una finestrella cruciforme. Nell'arioso interno a tre navate si conserva, dietro l'altare maggiore, uno dei più bei retabli dell'isola (Retablo Maggiore di Ardara): inserito in una costruzione lignea di grande sontuosità e dai fulgidi riflessi dorati, si compone di una scultura lignea, posta in una nicchia al centro e raffigurante una Madonna con Bambino, e di ventisette dipinti, di cui gli otto degli scomparti centrali sono dedicati alla vita di Maria mentre i dodici del polvarolo e i sei laterali della predella disegnano tutt'intorno alla storia esemplare della Vergine una corona di santi. Al centro della predella, infine, il tabernacolo con un Cristo in Pietà. Fra tutti questi dipinti solo quelli della predella sono opera di Giovanni Muru, pittore sardo che li ha firmati e datati (1515) e al quale in un primo tempo era stato attribuito l'insieme dell'opera. Il resto del retablo si deve invece a due aiuti della sua bottega. Lungo la navata di destra, restituita di recente alla basilica dopo un restauro durato svariati decenni, si può ammirare il Retablo Minore, di dimensioni assai meno imponenti dell'altro, ma di notevole effetto. Da Ardara, tagliando il Campo di Chilivani, si può infine raggiungere Ozieri in campo a una ventina di chilometri.



 
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